Gagarin. Basta il nome. È forse oggi incredibilmente difficile far percepire quanto, mezzo secolo fa, bastasse il nome, solo quel nome, che poi era il cognome di Jurij Alekseevic Gagarin, per muovere in milioni e milioni di persone di tutto il pianeta un entusiasmo paragonabile allora solo a quello della prima rockstar, Elvis Presley. Non è un caso se questi due personaggi rappresentano al meglio i modelli sociali e politici che si scontrano nella guerra fredda. Lo statunitense Presley simboleggia il giovanilismo ribelle, la cosiddetta libertà americana. Gagarin è la massima rappresentazione del mito dell’uomo sovietico: bello, bravo, studioso, laborioso, impegnato. È lo scontro epocale tra due superpotenze che in quell’inizio di decennio, nel 1961, moltiplicano il confronto, non solo nello spazio, ma anche sulla terra, anche perché a Cuba hanno vinto Che Guevara e i fratelli Fidel e Raul Castro. Gagarin realizza un vivace ed emozionato racconto della sua vita, che è anche quello della scienza sovietica, dei successi conseguiti e dei sogni di una generazione. Di lui Gianni Rodari ha scritto: “Il volo di Gagarin è stato reso possibile dal lavoro, dalle sofferenze, dalle speranze, dalle lotte di centinaia di generazioni, è il fiore bellissimo che non può sbocciare se non ha stelo, radici e tanta buona terra intorno. … L’uomo dello spazio… non Icaro, che sogna di toccare il sole e cade. Lui vola e ritorna e ci dice che la strada è aperta…” Prefazione di Margherita Hack